MIRAA: attività produttiva dannosa per i giovani

MIRAA: attività produttiva dannosa per i giovani

MIRAGGIO DI GUADAGNO FACILE

Il Qat o Khat (Catha Edulis), comunemente chiamata miraa in Kenya, è un arbusto le cui foglie vengono masticate tradizionalmente dagli abitanti delle zone circostanti il Mount Kenya e nelle parti di Paese a maggioranza musulmana. Le foglie di questa pianta contengono un alcaloide dall’azione stimolante, che causa stati di eccitazione e di euforia, e che provoca forme di dipendenza se abusato, al pari dell’alcool e del tabacco. Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha classificato il qat tra le droghe. In Italia ha la stessa classificazione delle anfetamine, della coca e dell’oppio (Decreto legge 20 marzo 2014, n. 36).
Il suo consumo è fortemente radicato nelle tradizioni del Kenya rurale e, oltre ad essere un’abitudine quotidiana per giovani e anziani, rappresenta anche una delle principali fonti di reddito per gli agricoltori anche nelle zone dell’Embu County dove l’ACCRI opera: sono molte, infatti, le famiglie che fanno ruotare la loro economia e il loro sostentamento attorno a questa attività e nonostante il Governo e le varie organizzazioni abbiano provato e continuino a proporre delle alternative non è ancora stato trovato un business più efficace per le poche risorse richieste e il profitto che ne viene tratto.
La miraa di qualità migliore si coltiva nei dintorni della vicina contea di Meru. La sua efficacia diminuisce notevolmente tra le 24 e le 48 ore dopo la raccolta, che viene fatta durante la notte da parte degli agricoltori che poi la vendono a degli “intermediari”. Da qui il traporto, a bordo di grandi autocarri e automobili stracariche che sfrecciano di notte e al mattino presto, verso il Wilson Airport e/o il Jomo Kenyatta International Airport di Nairobi, per caricare la merce sul primo volo per Mogadiscio, in Somalia o verso l’Europa. In altri casi proseguono verso Mombasa, sulla costa kenyota.
La coltivazione della miraa al posto di ortaggi e/o cereali, favorisce l’arricchimento economico dei produttori e l’immissione sul mercato di sostanze potenzialmente dannose perché stupefacenti;  allo stesso tempo, costituisce  un impoverimento delle risorse alimentari della zona.
I progetti che si stanno realizzando in loco cercano di offrire un’alternativa alla coltivazione di questa pianta.

Per approfondire leggi l’inchiesta di La Repubblica del 2013

Puoi contribuire alla realizzazione dei progetti con una donazione!

Photo credit: FILE PHOTO | NMG

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